La montagna rivela sempre le persone. Rivela le paure, rivela il carattere.

Sguardi penetranti, curiosi, talvolta segnati dalla stanchezza.
In un cielo terso di inizio Giugno, si conclude la mia quinta ascesa ai 4.000 delle Alpi, montagne dove la luce ti avvolge e riempie gli occhi di stupore.

Ancora una salita, questa volta in compagnia, un gruppo tra i più disparati ma allo stesso tempo ben affiatato, colmo di curiosità e di riconoscenza.
Il corso di alpinismo oramai volge al termine, ci porterà ancora una volta in vetta, prima di lasciarci dolcemente da soli, come il sole che tramonta d’estate in una palla di fuoco. Se ne va anche il quinto 4.000 ma non sarà l’ultimo di questa estate.

La Capanna Margherita con i suoi 4554 metri sul livello del mare, ci ha accolti per una delle ultime salite della stagione. Anche se chiusa da qualche settimana si è mostrata a noi in tutta la sua bellezza ed eleganza. In un weekend soleggiato e spazzato da un debole vento abbiamo percorso la lunga traccia che conduce alla vetta.

Meta classica dell’alpinismo, a volte criticata, altre volte glorificata, ma il più delle volte stuprata da un turismo vorace, la capanna resta lì, dall’alto della sua posizione in attesa di essere raggiunta.

In questo paesaggio deserto di fine settembre non è stato poi così male ritrovarsi in rifugi semi deserti, quasi irriconoscibili e percorrere vie prive di contatti umani.
Ritrovarsi immersi in una montagna che fa riflettere, una montagna che lascia il tempo di esser guardata, di esser capita.

Una montagna vera.